lunedì 25 luglio 2011

RECENSIONE:
"Lord John e una questione personale" di Diana Gabaldon


Lord John e una questione personale
Diana Gabaldon

Editore: Corbaccio
Pagine: 340, rilegato
Prezzo: 18,60 €





RECENSIONE

Prima di cominciare a commentare questo libro devo fare una piccola premessa: prima d’ora avevo già sentito parlare di Diana Gabaldon, ma non avevo mai letto nulla di suo. Lord John è quindi il mio primo approccio a questa scrittrice, famosa soprattutto per la sua corposa serie de “La straniera”.

Sapevo che questo romanzo è, in realtà, proprio uno spin-off di quella saga e infatti temevo che, non avendo mai letto nessuno di quei romanzi, mi sarei trovata in difficoltà.
Ma in realtà questo romanzo ha ben poco a che fare con i precedenti. Anzi, si può proprio ritenere una storia a sé, totalmente indipendente e autoconclusiva.

Ambientato nel 1757, Lord John e una questione personale è un vero e proprio mistery storico che vede la figura di Lord John Grey - maggiore dell'esercito inglese – protagonista di una serie di misteri ed avventure che lo porteranno ad indagare due questioni parallele: la morte misteriosa di un sergente e il problema relativo all’onorevole Joseph Trevelyan, fidanzato con la cugina di Lord John, Olivia, ma segretamente malato di sifilide. Due misteri diversi, ma in realtà profondamente legati.

La prima impressione, leggendo questo romanzo, è stata quella di estremo stupore per la qualità dello stile di scrittura e per la precisione con cui tutte le scene del romanzo vengono ambientate e descritte.
Uno stile di scrittura davvero ben curato, praticamente perfetto. L’eleganza e la sottile ironia del protagonista conquistano subito, mentre l’ambientazione affascina e coinvolge.

D’altro canto però, tutta questa perfezione mi ha un pochino spiazzato. Una perfezione che, ad un certo punto del romanzo, comincia a sembrare un po’ finta, o meglio, asettica.

Difficile lasciarsi coinvolgere emotivamente dal racconto e non tanto perché non vi è una storia d’amore che collega il tutto, ma proprio perché nello stile perfetto dell’autrice sembra non esserci spazio per l’emozione. Non saprei dire se questo problema sia legato esclusivamente a questo romanzo (in effetti, leggendo altre recensioni, ho intuito che è proprio così), ma sta di fatto che il libro non riesce mai emozionare.
E’ come una nota che si ripete continua ed invariata per tutto lo sviluppo del libro. Non ci sono alti e bassi, non ci sono momenti morti e momenti emozionanti. E’ tutto mono-tono. E nonostante il tono sia comunque ad un livello alto, dopo un po’ la mancanza di variazioni comincia a stancare.

Il fatto che la storia sia, a tutti gli effetti un mistery, aiuta a procedere nel racconto, attraverso un labirinto di misteri sempre più fitti. 
Ma alla fine del racconto rimane poco. Non è un libro che rimane nel cuore, insomma.
Resta comunque una discreta lettura, che mi ha fatto scoprire toccare con mano la bravura di un’autrice che sa scrivere, e lo dimostra ad ogni riga. 
Sarebbe bello se alla sua capacità stilistica si aggiungesse un po’ più di cuore, o meglio, di capacità di divertirsi; ma forse questo dipende anche dal tipo di storia e dai protagonisti.

Il vero quesito che voglio porre quindi è: ma l’autrice si è divertita a scrivere questo libro? Perché in fondo è proprio questo il punto della questione, a mio parere. 
Scrivere questo libro è stato sicuramente piacevole (non vedo perché avrebbe dovuto scriverlo se non fosse stato così), come è piacevole leggerlo; ma è stato divertente, emozionante?




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