martedì 28 febbraio 2012

RECENSIONE
La custode dei libri, di Sophie Divry


La custode dei libri
Sophie Divry

Editore: Einaudi
Pagine: 65
Prezzo: 10,00 €

LA TRAMA

È una querula bibliotecaria di provincia la donna che parla dalla prima all'ultima riga di questo incantevole monologo. Il suo interlocutore è un ragazzo che usa il seminterrato della biblioteca come bivacco notturno. A lui la custode si rivolge mischiando vita privata, libri, invettive. E la confessione di un tenero rapimento verso uno studente di cui però contempla solo la nuca. La sua voce ci arriva sommessa, un po' nevrotica, la voce di una donna ferita da un amore andato male, chiusa in un riserbo che solo i suoi amati romanzi riescono a scheggiare. Li ama, li classifica, li commenta convinta che solo l'ordine monastico della biblioteca è medicina per il caos dei sentimenti e degli uomini tutti. E poi d'un tratto la sua voce si accende e dalla donna autoreclusa nel sottosuolo esce una pasionaria della letteratura, una tenace sentinella del silenzio, che dalla sua misera trincea di provincia difende la vertigine della bellezza letteraria contro il chiassoso vociare della subcultura di massa.



LA RECENSIONE


"Nessuna pietà per i libri brutti. E, nel dubbio, bisogna essere cattivi."

Questa frase della protagonista, così come tutto il resto del monologo, mi trova in disaccordo. Perché nonostante io non abbia amato questo libro, non sarò cattiva con esso. 
Dirò quello che penso come ho sempre fatto, ma senza l'arroganza di giudicarlo "brutto" in maniera oggettiva.
Che non mi sia piaciuto è una questione assolutamente ed esclusivamente personale; ne è prova la lunga serie di commenti positivi che si trovano in rete proprio su questo romanzo.


Ma il fatto che non sia riuscita ad apprezzarlo non fa che confermare ancora una volta un fenomeno piuttosto curioso che mi perseguita da anni e che mi condanna a trovare particolarmente odiosi gli autori francesi.
Nonostante il potenziale della trama, lo sviluppo tradisce infatti quella derivazione che percepisco ormai come un marchio di fabbrica.
Gli autori francesi (quantomeno quelli che ho conosciuto io), e di conseguenza i loro personaggi, hanno infatti questo modo di giudicare il mondo dall'alto di non si sa bene cosa, che ho sempre percepito con un moto di fastidio, e che ritrovo anche qui, in questa bibliotecaria di mezz'età che si impossessa della nostra attenzione per dare sfogo al suo delirio (non si sa bene se di frustrazione o di onnipotenza).


E così un libro che poteva essere una lettura breve e piacevole, da gustare in un pomeriggio, si è trascinata per giorni, lasciandomi ad ogni frammento di lettura come un senso di claustrofobia.
L'atmosfera cupa e i toni pesanti della protagonista rendono questo libretto un mattone difficile da digerire, dimostrandomi così come 65 pagine possano sembrare 600 a seconda di come vengono percepite.


C'è da dire poi che il genere del monologo è qualcosa che è già di per sé molto lontano dai miei gusti letterari, e solo Alessandro Baricco è riuscito in un'occasione a farmi piacere un libro di appartenente a questa categoria.
Per me, che già provo sempre un senso di fastidio nei confronti dei libri scritti in prima persona, ha rappresentato una vera e propria sofferenza dovermi immedesimare in un personaggio così diverso da me. 
Un monologo può risultare pesante già quando è fatto da qualcuno che ha qualcosa di veramente interessante da dire, ma quando a farlo è una bibliotecaria di provincia sola, frustrata e rancorosa, la sofferenza diventa supplizio.


Ma quello che vorrei trasparisse da questa recensione non proprio positiva è un ragionamento che spesso ripropongo alla fine di recensioni non particolarmente lusinghiere e che, mi auguro, faccia capire come io non voglia pormi con cattiveria (come invece istiga a fare la voce narrante di questo monologo) nei confronti dei libri che non mi sono piaciuti.
Io dico sempre, infatti, che non esistono libri belli o brutti, bensì esistono libri adatti a noi e libri sbagliati per la nostra personalità.


E infatti, se qualcuno mi dovesse chiedere come ho trovato questo libro, non direi: "brutto". Direi semplicemente: "francese".



3 commenti:

  1. Commenti spariti?? è successo qualcosa?

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  2. Ok, ignora il commento precedente: la spiegazione alla sua esistenza la troverai nel post precedente.
    Non ho letto il libro, ma quella frase finale alla tua recensione... grrrrr!!!
    :P

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  3. Dai, non sono stata assolutamente cattiva!
    La frase finale, anzi, è positiva (anche se effettivamente può essere fraintesa!).
    Infatti con quella frase volevo dire non che i libri francesi sono brutti, ma che se dovessi rispondere alla domanda "com'è questo libro?", non direi che è brutto (perché, ripeto, nessun libro, o quasi, è brutto in maniera oggettiva ed universale) ma direi che, essendo francese, a me non è piaciuto.

    E comunque ad ogni regola c'è sempre l'eccezione. Infatti tra i mille autori francesi che odio ce n'è uno che adoro: Timothée de Fombelle!

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